Andrea Fontana: io non avrei neanche chiesto i 600 euro!!!
Con molta probabilità vi sarà capitato di leggerla ma a scanso di equivoci andiamo ad esaminare i passaggi principali di questa lettera.
"No grazie, Signor Presidente, un altro mutuo non voglio accenderlo mi basta quello che ho. Avrei voluto continuare a lavorare ma non mi resta che tenere giù la serranda e chiedere il reddito di cittadinanza... "
"Il nostro è un mestiere difficile, fatto di sacrifici pesanti, lavoriamo 15 ore al giorno, spesso non si dorme la notte perché l'ansia ce lo impedisce, perché a gennaio si inizia già a pensare alla banchettistica delle ricorrenze primaverili e all'estate,perché ti svegli di soprassalto chiedendoti se ti sei ricordato di ordinare tutte le materie prime ai fornitori..."
"Noi siamo quelli che abbiamo messo in ballo tutto ciò che avevamo sul nostro lavoro e non abbiamo avuto paura ad indebitarci. Noi siamo quelli che a fine mese facciamo il gioco delle tre carte per pagare..."Premesso che il messaggio, probabilmente (o perlomeno lo spero), sia stato creato per provocare, ciò che mi preoccupa è l'enorme reazione da parte del popolo delle partite iva che ne è scaturita.
Lo so che spesso mi tocca il ruolo del papà cattivo che attraverso modi un po' bruschi tenta di correggere atteggiamenti sbagliati dei propri figli ma è ciò che impone il mio mestiere e ciò che mi sento di fare per il vostro bene.
L'articolo di oggi vuole essere contro un modo di pensare e di fare impresa tipica dei piccoli imprenditori del nostro paese, ristoratori compresi.
Sto parlando di tutti coloro che si sono buttati in questo mare senza avere minimamente idea di cosa gli si sarebbe prospettato davanti, di coloro che ci si sono buttati senza saper nuotare, di tutti coloro che ci si sono buttati con l'obiettivo di portare a casa lo stipendio senza avere padroni a cui sottostare.
Dalle parole della signora in questione, invece, si respira la mentalità del piccolo bottegaio (come direbbe il mio amico Emiliano Lemma) per cui si lavora 15 ore al giorno per poi fare a fine mese il gioco delle tre carte per pagare.
Una mentalità per cui si pensa seriamente che sarebbe molto più semplice mollare tutto e chiedere il reddito di cittadinanza.
Non immaginate neanche lontanamente quante volte, di fronte alla mia idea per cui il primo obiettivo di un imprenditore deve essere quello di produrre ricchezza mi sento rispondere che si è entrati in questo mercato per "farsi lo stipendio"...mica per diventare milionari!!!
Ecco allora che ciò che dovreste mettervi in testa è che la solidità di un'azienda si misura proprio da questo, da quanto riesce a resistere agli scossoni del mercato, all'apertura di un nuovo ristorante, alla visita degli amici della finanza o alle dimissioni di un collaboratore.
E lo so cosa state pensando.
E invece vi assicuro che là fuori c'è un esercito di imprenditori, anche nel settore della ristorazione, con degli attributi grossi come una casa e con la consapevolezza di aver fatto una scelta che li lascia completamente soli, qualsiasi cosa accada!
La conseguenza è che anche in questi giorni il loro unico pensiero è quello di capire cosa poter fare per salvare il salvabile e per tornare a combattere (quando glielo permetteranno) più forti di prima.
Le sue parole sono proprio la risposta a quelle di Giuseppe Marras nel gruppo Facebook Professione Ristoratore:
"Giuseppe Marras 92 minuti di applausi!!! La penso esattamente come te.
Siamo imprenditori, il rischio d'impresa ci appartiene, e il coronavirus, piaccia o non piaccia, fa parte di questo rischio.
Perché ho voluto riportare queste parole?
Per dimostrare che c'è un altro modo possibile di fare impresa in Italia, che non è vero che sia impossibile avere successo, che non è assolutamente vero che o fai nero oppure il fallimento è inevitabile!
Sarò un inguaribile ottimista ma credo nella vostra professionalità, sarà il caso lo facciate un po' anche voi!